“Quando si spalancano le porte dell’ascensore al quinto piano dell’ospedale Del Ponte, (sì, perché sono troppo pigra per fare le scale e poi arrivo su col fiatone), mi accorgo subito che tutto ciò che di pesante sentivo fino a quel momento, improvvisamente mi scivola addosso e per qualche ora, non c’è più.

E no, non è perché circondata da testoline pelate, volti sofferenti, bimbi e ragazzi MALATI. No! Tutt’altro.
Perché mi ritrovo d’un tratto scaraventata in una quotidianità che non è la mia, ma che imparo a conoscere nei dettagli: la quotidianità di uno stravolgimento momentaneo di una vita che era altra e si è dovuta reinventare, e non c’è cosa più intima e preziosa di questa. Quando entro in Day Hospital so che non sto solo mettendo piede nello spazio di un’altra famiglia, ma ci sto entrando dentro con tutte le scarpe (perennemente slacciate) e tutto il casino e l’irruenza e la passione che fanno parte di me.


E allora accendiamola sta musica, e lanciamoli i giocattoli dentro le ceste per fare canestro perché “chi ha più punti vince!”, e pescale queste quattordici carte a UNO perché sicuramente mi vendicherò se mi stai facendo perdere, e improvvisiamola una seduta di zumba per arrivare con la lingua a terra e la polo sudata!


Qui dentro, l’orgoglio impagabile è l’opportunità di assistere al rifiorire di alcune vite, che poi in realtà sono un giardino intero, quando da un giorno all’altro ti si parano davanti abbracciandoti con i loro magnifici riccioli in testa, nuovi di zecca, e tu rimani lì col cuore in apnea per qualche secondo. È questa sensazione che accudisce e leviga, col tempo, tutte le ferite che inevitabilmente si creano, sa trasformare le mancanze e i vuoti…


È difficilissimo per me sgomitare tra i vari ricordi, gli sguardi, le parole e i momenti che si sono susseguiti, senza nemmeno cercarli, in questi quattro anni, o poco più, come volontaria in Fondazione Giacomo Ascoli; impossibile scegliere un istante a discapito di un altro per condividerlo in queste poche righe: la verità è che tutti risuonano in me in un modo diverso ma con un’armonia tale che mi fa capire quanto realmente questa parte della mia vita “questa piccola parte della mia vita si possa chiamare Felicità.”

Chiara, volontaria della Fondazione Giacomo Ascoli